Garcia, cambiato da ciò che voleva cambiare

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NOTIZIE ROMA CALCIO – Gli operai stavano ancora spostando l’altare, avevano appena coperto la navata centrale con delle tegole di fortuna per far affluire i fedeli col rosario in mano e il cuore colmo di speranza, portato i confessionali, sistemato i banchi. Il tabernacolo era ancora coperto da un telo e la perpetua stava ancora ripiegando la biancheria del parroco nei modesti armadi della sagrestia. Poi i lavori si sono fermati.La «chiesa al centro del villaggio» non c’è mai arrivata. È rimasta una bella frase che ha entusiasmato il popolo affamato di scudetto. Adesso Garcia non c’è più. Ha fatto le valigie con civile compostezza, cambiato da ciò che avrebbe voluto cambiare. Ieri ha salutato uno per uno tutti gli esseri umani che ha incrociato a Trigoria. Ha sbaraccato portandosi dietro il suo mistico progetto, chiaro all’inizio, farfugliato alla fine.Da mesi allenava a spintoni, senza un filo logico, una squadra raffazzonata, priva di forza e di carattere. A giugno Garcia fu a un passo dall’esonero (arriva Montella o Mazzarri?). Era fuori di sé, si sentiva tradito. Un martire da 2,5 mln all’anno.

Pallotta lo rimise in carreggiata dopo un folcloristico pit-stop al de Russie: «Ti darò una squadra così forte che potrei allenarla anch’io». Ma i rapporti non erano più così stretti da non lasciar passare una battuta: «Pallotta mi ha detto che mi darà una squadra che potrebbe allenare anche lui. Bene. Ora so che allenerò i Boston Celtics». Non si comincia così una stagione. A meno di non volerla interrompere bruscamente, travisando le doti di Dzeko. E adesso? Dopo un anno euforico, un secondo in calando e un terzo da incubo con tre belle partite (Juve, Fiorentina e Lazio) cosa rimane? Svariati sogni spezzati, alcuni momenti esaltanti, più di tutti forse quello 0-3 a San Sirocon Strootman travestito da bersagliere e il secondo tempo a Manchester, i derby mai persi, le polemiche con i preparatori, prima Rongoni, poi Norman, i balbettamenti sempre più frequenti del gioco, le decine di ultime spiagge, le fragili e brevi rinascite. Certe fantasie sono rimaste semplici schizzi su foglio bianco (avere contropiedisti e non allenare i contropiedi).

I recenti cambi d’umore e di conduzione sono stati determinanti per l’ultima revisione della sceneggiatura, dalla quale è scomparso l’happy end. Due rovesci europei hanno prodotto crateri profondi intaccando la stabilità dei muri e delle certezze di tuttaTrigoria (Bayern, Barcellona). Alcuni difetti (l’incapacità di chiudere le partite, la paura di perderle) si sono ingigantiti facendo dimenticare i due secondi posti in campionato, il primo con il record giallorosso di punti (85), e persino il passaggio agli ottavi diChampions. Questo francese dal nome spagnolo da non pronunciare alla francese era la soluzione di continuità dopo una serie di farraginosi tentativi di cambiamento e/o restaurazione (Ranieri, Montella, Luis Enrique, Zeman, Andreazzoli). Aveva poco da perdere e molto da costruirsi. Si conoscevano più le sue qualità di chitarrista che la sua abilità come stratega del pallone. «C’è da imparare e da correre insieme». Il primo Garcia aveva un sapore zen, mandava segnali di calma orientale, parlava sempre di collettivo, come Sacchi. Si divertiva a giocare con le poche parole d’italiano che conosceva e adorava contrapporre i concetti. Una dei suoi ossimori preferiti era “umile determinazione”.

Di bello c’era che la squadra, per qualche mese, si sovrappose d’incanto al suo dettato. La teoria che accendeva la pratica. Garcia era diverso, sembrava così poco “italiano” da immaginare che mai avrebbe accettato di indossare la maschera, mai sarebbe ricorso ai sotterfugi o alla banalità, a simulare il violino come Mourinho simulò le manette. Da principio i risultati furono esaltanti almeno quanto lo spettacolo. Vedendo giocare la Roma di Garcia e Strootman si poteva quasi toccare il cielo. Non se l’aspettava nessuno. Una striscia record di vittorie confermava la bontà del percorso intrapreso. Durò circa sei mesi. La Roma era come Djokovic: quando rubava palla all’avversario aveva già cominciato ad attaccarlo e a smontarlo. Un gesto difensivo conteneva in sé il germe della minaccia. Corta, potente fisicamente, convinta, unita, era la celebre Roma dei “secondi tempi”. Poi qualcosa è cambiato, radicalmente. PersoStrootman, Garcia ha mostrato i suoi limiti. Persa la fiducia, anche in se stesso, durante il secondo anno si è rassegnato a diventare normale mentre la sua Roma appariva consunta, incarnata in Doumbia. A dicembre 2014 aveva detto: «Ora so che vinceremo lo scudetto». Non era più la stessa persona. Si era innamorato di una donna mentre la squadra scoloriva a chiazze. Divenne sempre più spigoloso. L’abbraccio con Florenzi al 2-0 di Roma-Genoa è stato il tenero epitaffio. Ma era scritto sull’acqua. Un minuto dopo era già sparito.

(La Repubblica, E. Sisti)

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6 Commenti

  1. Per me, dalla ridda di contraddizioni logiche e dalle inesattezze di questo articolo, è possibile desumere due punti essenziali (che ho ben chiari).
    1- Il “gioco di Garcia” non è “palla a Gervinho”. Il gioco di Garcia esiste e lo abbiamo visto il primo anno. E’ fatto di intensità, squadra corta, che attacca e si difende in 11 nei 30 metri di centrocampo. E’ un gioco spettacolare che ha bisogno di interpreti convinti, di buona qualità e in buone condizioni atletiche.
    2- Per questo gioco Strootman e Benatia erano fondamentali. La disillusione feroce è arrivata il giorno del Bayern. Lì è finito il ciclo di Garcia alla Roma.

    Da quel momento ha cercato di ricostruire il giocattolo rotto, ma nn ci è mai riuscito.

  2. che bell’articolo..sembra Emily Bronte in cime tempesose..quasi quasi mi commuovo..la Repubblica quando vuole sa come intortarti..

  3. e già a garcia son mancati i tre interpreti fondamentali ,vedi kevin , castan e uno come benatia ,non tanto gervinho nel secondo anno ,ancora peggio hai avuto la bellezza di ben 12 giocatori con le rispettive nazionali (gervi ,in più con la coppa d’africa) tornati senza più fame di vittoria , quindi demotivati stanchi e dulcis in fundis pure infortunati ddr e pianic ,lo stesso gervi , bè, non c’è che dire con il bayern mancavano giocatori importanti in quei ruoli (non dimentico anche il 7a 1 che rifilo il M.u.a noi nell’era spallettiana ,con giocatori vitali infortunati , all’andata avevamo addirittura vinto per 2 a1 ) certo qualunque allenatore a cui vengono mancare gli elementi fondamentali farebbe una stecca clamorasa al di la’ se è bravo lui o meno pensate al napoli senza higuain.

  4. Garcia si trova, all’inizio del secondo anno, senza i due centrali (benatia e castan), senza i due laterali, maicon e balzaretti. senza il perno di centrocampo, strootman.

    manolas vale castan, e nainggolan è un ottimo giocatore, ma non ha l’intelligenza tattica di strootman.
    holebas, astori, torosidis abbassano il livello tecnico medio.

    nonostante questo la roma parte ancora bene, sullo slancio, gli avversari la temono e questo gli da il vantaggio delle grandi squadre che vincono con il nome, a volte.

    poi il bayern che è veramente grande, scopre il bluff e toglie quell’aurea di sicurezza.

    quindi ci sono tanti infortuni, la coppa d’africa.
    inizia la serie di pareggi. ma arriviamo in cl.

    quello che non mi spiego ancora è questa stagione.

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