ULTIME NEWS AS ROMA – Zitti tutti, parla Paulo Roberto Falcao. E ne ha per tutti, soprattutto per Cristiano Ronaldo, criticato per l’uscita polemica dal campo domenica scorsa, ma anche per il calcio italiano, ancora troppo distante dal modello vincente della Juve. Il brasiliano, 66 anni, è ancora oggi uno dei calciatori più amati al mondo, in Brasile, naturalmente, ma anche in Italia e a Roma, dove ha giocato dal 1980 al 1985, vincendo lo scudetto del 1983. A Montecarlo è stato premiato come Legend del Golden Foot 2019.
In Italia c’è un caso Cristiano Ronaldo, se lo aspettava?
«Quando un giocatore viene sostituito, deve avere rispetto per l’allenatore e per il compagno di squadra che entrerà al suo posto. Vale per tutti i giocatori, quindi anche per CR7»
Caso Ronaldo a parte, in Italia la Juventus domina da anni.
«Non è una novità . Se c’è una squadra che vince sempre, significa che sta facendo le cose al meglio. E allora mi chiedo: perché non imitare quella squadra? Bisogna prendere spunto dai migliori».
La Juve ha un segreto per vincere così tanto?
«No, è solo una squadra forte e ha una società incredibile alle spalle. Sanno sempre cosa fare, come comportarsi e come gestire i giocatori».
L’Inter, con Conte, sta provando a raggiungerla. In campionato è a un solo punto di distacco.
«Non sarà facile raggiungerla. La Juve è troppo abituata a vincere. Conte, comunque, è un allenatore molto abile, che sa tirare fuori il meglio dai suoi giocatori. Lo sta facendo anche all’Inter».
Meglio Sarri o Conte come stile di gioco?
«Dipende. La grandezza di un allenatore è quella di saper tirare fuori il meglio dai propri giocatori. A me piacciono i tecnici che puntano, sempre e comunque, alla vittoria e che non fanno mai calcoli».
In Italia e a Roma in particolare Falcao è considerato un mito del calcio mondiale.
«Fa piacere essere ricordato così. Ormai sono passati più di 30 anni da quando giocavo nella Roma ma, ogni volta che torno, ricevo tanti attestati di stima. È emozionante. Credo che, al di là di quello che ho fatto in campo, sia importante come mi sia comportato. Ho cercato sempre di essere corretto e leale».
Che ne pensa della Roma di oggi?
«Mi auguro possa arrivare il più in alto possibile. Mi sembra ci sia un bel progetto, ora però bisogna insistere e seguire il nuovo tecnico Fonseca».
Rispetto a club come la Juve, alla Roma manca uno stadio di proprietà .
«Il calcio moderno va verso quella direzione, i club più forti del mondo hanno tutti stadi di proprietà . E’ evidente che per la Roma quello deve essere l’obiettivo finale».
Falcao a Roma ha lasciato un segno incancellabile. Con l’addio di Daniele De Rossi, dopo quello di Totti nel 2017, in giallorosso non ci sono più bandiere.
«Il calcio moderno va avanti e corre veloce; su De Rossi, però, vorrei dire una cosa: ha avuto coraggio ad andare a giocare in Argentina, in un grande club come il Boca Juniors. Sono ammirato dalla sua decisione; credo che i giocatori italiani siano troppo legati alla serie A e facciano poca esperienza all’estero. In questo De Rossi può diventare un esempio».
Quando si parla con Falcao, inevitabilmente il discorso vola su quel famoso Italia-Brasile 3-2 del Mondiale 1982.
«E’ vero, se ne parla ancora tanto. Sai io che dico sempre? Se quel Brasile perdente è ancora così amato, significa che è stato davvero speciale. Non ha vinto, è vero, eppure tutti si ricordano di quella Seleçao con in squadra me, Zico, Junior, Socrates e gli altri».
Dopo CR7 alla Juve, come vedrebbe l’arrivo in Italia anche di Neymar?
«Insieme a Messi e Cristiano Ronaldo è uno dei tre top player mondiali. Ultimamente ha perso un po’ il sorriso, è meno allegro rispetto al passato, ma resta un giocatore che può fare la differenza ovunque, anche nel campionato italiano. E magari da voi ritroverebbe anche l’allegria».
(Leggo, F. P. Montecarlo)
Di Falcao mi piace raccontare un ricordo ormai sepolto negli anni. Nel dicembre 81, mi sembra fosse festivo, l’otto del mese, si giocò un quarto di Coppa Italia contro l’Inter, nel canonico orario delle 14.30. Lo stadio era stracolmo e l’interesse molto alto, a riprova che se si facesse un campionato a 16 con diverse soste più una Coppa Italia seria con scontri di livello la domenica quando la serie A è ferma, ne gioverebbe tutto il calcio italiano. La Roma di Liedholm era fortissima fece un partitone, Chierico un euro gol sotto la Nord (mezza rovesciata su punizione finta di Bruno Conti), e travolse l’Inter per 4-1. All’uscita ero raggiante. Mai vista l’Inter, abituato a vederla maramaldeggiare, annichilita così all’Olimpico. Tutti demmo per scontato il passaggio del turno.
Il ritorno di giocò di mercoledì a ridosso di Natale, nella nebbia e con poche migliaia di spettatori infreddoliti. Radiocronaca di Everardo Dalla Noce. Il Corriere ne fece un trafiletto sulla prima pagina. Pruzzo e soci erano già in ciabatte davanti l’albero e sotto panettone. Un’Inter un pochino motivata vinse 3-0, Falcao prese due traverse. Negli spogliatoi ebbe una crisi di nervi coi compagni rei di aver la testa altrove e presa sottogamba la partita. La “mentalità vincente”, che in lui era del tutto connaturata e che aveva trasmesso alla squadra, quella sera andò a farsi benedire. Quella sera ricordo spaccai la radiolina e svegliai mia madre che dormiva. Non c’era questo forum per sfogarsi con qualcuno. Il giorno dopo a scuola, con il clima natalizio, l’unico incavolato fra i miei amici ero io, proprio come Falcao. In pochi sapevano addirittura della partita, come pochissimi, che allora c’erano, oggi si ricordano questo aneddoto. Ne sono certo.
Questa è Roma, a volte..
Grazie Falcao.
Ho la pelle d’oca solo a ripensarci
Anche se questo in particolare non sembra un ricordo vincente, di fatto spiega perchè quella Roma divenne una squadra vincente e ripensarci oggi è emozionante
decisamente Si… GRAZIE FALCAO
e grazie a te per avermi ricordato questo momento
Complimenti, Amedeo, davvero un bel post.
Caro Paolo, in quell’episodio sta tutta la grandezza di Falcao. Chi non lo ha vissuto non può capire perché molti lo considerino il più grande giocatore della Roma di tutti i tempi, Totti compreso. Dopo la partita d’andata, stravinta, la pratica secondo noi era archiviata, il ritorno neanche esisteva. Avevamo una grande squadra proiettata verso lo scudetto e reduce da ben due Coppa Italia consecutive. Di quella partita che si doveva ancora giocare importava solo a Falcao, in tutta Roma. Che il brasiliano fosse una specie di extraterrestre me n’ero convinto qualche mese prima a Torino, il giorno del gol di Turone, quando DA SOLO nel primo tempo aveva retto l’urto della Juve. Quella sera maledetta di dicembre prima di Natale in cui sempre DA SOLO si oppose all’Inter ne ebbi la conferma. L’anno successivo andò in RAI a Mixer, la trasmissione più seguita dell’epoca, a dire a tutta Italia di mettersi l’anima in pace: lo scudetto sarebbe approdato a Roma, galvanizzando un ambiente terrorizzato dal l’ennesima beffa.E così avvenne.
Per me il Divino fu il non plus ultra della figura del leader, vero, quello che si occupa e si preoccupa della squadra in tutte le sue componenti, dalla tecnica per finire a quella psicologica.
Ancor oggi lo ringrazio perché se la Roma non è più la “Rometta” gran parte del merito in campo va a lui.
Non posso che sottoscrivere in pieno quanto hai detto, è lui l’ottavo re di Roma.
L’episodio dell’intervista è la chiara dimostrazione di come si deve comportare un vero leader.
non solo è il più grande campione che abbiamo mai avuto, ma è stato di gran lunga il più carismatico leader che abbia mai giocato con la Roma, altro che fasce da capitano con scritto H501.
Stiamo in transizione dalla monarchia alla repubblica, gioca chi lo merita, e la fascia di capitano va a chi lo merita, senza favoritismi che spaccano lo spogliatoio.
Perché due pesi e due misure sono stati più venefici che benefici.