Malagò: “Preoccupato e frastornato per la Roma”

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CORSPORT (N. ARUFFO/L. DE SANCTIS) –  Dalle colonne del Corriere dello Sport,  l’intervista a Giovanni Malagò, nuovo presidente del Coni:

La sua vittoria al Coni è stata paragonata al boom elettorale di Grillo, interpretata come voglia di cambiamento.

«Sì, in questa prima settimana si è fatto un paragone tra la novità di Grillo sullo scenario politico con la mia elezione. Qualcosa di simile solo se pensiamo al fattore novità».

Il modello Malagò creato al circolo Aniene: è possibile calarlo nella realtà dello sport italiano?
«Voglio portare entusiasmo, idee, energie. Innovazione, non rivoluzione. L’Aniene? Non sono cose paragonabili. Quando divenni a 38 anni presidente dell’Aniene, la situazione era simile. Era un circolo sportivo con una storia. Ora è il più importante in Italia, siamo un’eccellenza. Due facce di una stessa medaglia. Il club, con le sue regole, di stampo anglosssone. La società sportiva affiliata a 17 federazioni. Statuto paragonabile a un ente no profit. Siamo al 100% volontari. L’Aniene ha avuto una crescita impressionante in termini di occupazione, sociale, volontariato, sport, magari con qualche vantaggio anche a livello fiscale. 15 anni di bilanci in utile, diamo lavoro a quasi 250 persone, anche con Aquaniene. Se riuscissimo a replicare questo modello…»

Capitolo doping, cosa ne pensa?
«Chi si dopa investe molto, chi si occupa di antidoping deve fare altrettanto. Spendere nella ricerca, nelle risorse umane. Più previeni, meglio è. Il problema di base è culturale. In alcuni Paesi il doping è sistema. Si tratta di cultura civica, più che sportiva». (…)

La pallavolo l’ha fatto, il basket ci sta pensando: bloccare le retrocessioni come ricetta anti crisi.
«Penso non sia stata una precisa volontà ma una necessità. Le società hanno pagato dazio alla crisi. Ai mecenati un minimo di tranquillità gliela devi dare. Non sono assolutamente contrario. Non sarebbe male se si evitasse di valutare la bontà di una società sulla base di salvezza o retrocessione. In America non esistono retrocessioni, ma lì ci sono le franchigie, che vanno dove c’è il business. Ve la immaginate da noi la Roma che trasloca a Torino?» (…)

Quanto costa la corsa alla spettacolarizzazione dello sport?
«Lo sport deve mantenere le proprie tradizioni, ma non può pensare che i tempi non cambino. Il canottaggio è una religione. Valori, rispetto degli avversari, quando loro facevano gare altri sport non esistevano. Ma ha ancora gare sui 2000 metri che dalla tribuna non si riescono a seguire. Ci sono sport che si sono trasformati. L’obiettivo dev’essere la visibilità, integrare la comunicazione con l’evento. Nel 2005, per la finale degli Europei di pallavolo a Roma, scegliemmo una domenica senza calcio, avemmo 4.851.000 telespettatori, con uno share del 21,82%. La gente è affamata, se gli dai un prodotto che vale, risponde». (…)

Lo sport fatica a trovare nuovi dirigenti.
«Sono dei volontari, come si fa a pretendere che siano primi della classe? Il Coni può garantire formazione e supporto. Vedo sinergie con le piccole federazioni, aiutandole nei contatti con sponsor e Tv».

La grande crisi economica ha messo in ginocchio molti club, in diversi sport.
«Senza società sportive non si va avanti. I club soffrono la crisi, ma bisogna che si rimbocchino le maniche e tirino fuori modelli diversi, competitivi sul territorio. Ci sarà una selezione naturale ma il sistema sport deve supportare chi ha investito onestamente, ci sono mille strumenti per farlo».

E volevano mettere i soldi spesi per lo sport nel redditometro…
«Non solo non dovrebbe essere indice di benessere, ma ci vorrebbe uno sgravio fiscale per quei soldi spesi dalle famiglie».

Con lei si comincerà a pensare al futuro nel Cio, al ricambio delle presenze italiane?
«E’ più che un dovere da parte del Coni. Ci sono 12 presidenti internazionali, istituiremo un gruppo di lavoro, ci dovrà essere un coordinamento. Oggi se non aggredisci un argomento, la matassa non la sbrogli. C’è una politica internazionale da portare avanti come l’Italia merita».

Si parla del nuovo stadio della Roma, quale è la sua posizione?

«Tanti promettono e non mantengono. Sul tema degli impanti le idee le ho chiarissime. Sono molto contrariato per il modo in cui è stato gestito il tema Legge sugli stadi. In realtà la legge riguarda gli impianti, palazzetti da 2000-3000 posti sarebbero ossigeno vitale per molte discipline. E soprattutto per l’interdisciplinarietà. In certi luoghi specie di provincia, sarebbero un vero e proprio elemento aggregante. C’è una statistica in Europa, secondo la quale si sostiene che ogni 400 posti di stadio che si realizza, c’è garanzia di dare occupazione a due persone a tempo determinato e a una a tempo indeterminato. In uno stadio da 50.000 posti dunque, si garantirebbe a 600 persone una occupazione fissa all’interno del sistema di gestione. Che poi si tratti di bar, ludoteca, parcheggio, poco importa. Lo sport è uno dei pochi settori dove il Paese può sperare di creare sviluppo. Improbabile pensare di sviluppare impianti di alluminio, acciaierie…».

A proposito degli stadi romani cosa pensa?
«Non dipende dal Coni, ma Roma e Lazio mi troveranno straalleato. Conosciamo le dinamiche legislative di questo paese. La burocrazia è quella che è. Forse se il Coni si unisce, sempre rispettando una serie di canoni base, evitando di creare speculazioni che non vadano oltre l’esigenza dell’impianto sportivo, potrebbe essere un fattore positivo. Lo stadio non deve essere un palliativo per fare altre cose».

E’ vero che ha detto l’Olimpico per la Roma, il Flaminio per la Lazio?
«No, non è mia la frase. Senza casa non c’è futuro. Vale in termini di patrimonio, la Roma deve cercare di farsi una casa. Lo stadio Olimpico è del Coni. Ormai è diventato la sede per il 6 Nazioni di rugby, c’è il Golden Gala che cresce, ci sono altri eventi, come i cinque concerti di prestigio di giugno e luglio. Ci sono le sinergie con gli Internazionali di tennis, il World Tour del beach volley. Il Flaminio per la Lazio? Non sta a me dirlo. Poteva essere buona soluzione ma i vincoli sono tali che hanno dovuto scartarla».

Come è la situazione con la Roma e con la Lazio?
«I rapporti con la Lazio sono oggi ottimi, si è trovata piena soluzione contrattuale per il prossimo biennio. Il Coni ha lavorato benissimo, Roma e Lazio sono clienti eccellenti, se così possiamo definirle».

Quali saranno i suoi rapporti con il calcio? Come immaginava un Coni senza calcio in Giunta o ai margini?
«Non sono matto, dovevo in qualche modo sottolineare che nell’ambito dei candidati presidenti alla Giunta non avevo inserito presidenti che non mi avrebbero votato. Era un discorso da addetti ai lavori, un discorso elettorale. Non c’è mai stata un’elezione con i candidati così vicini nei voti. Io lo sapevo, la controparte non se l’aspettava. Il calcio non è nella mia cinquina ideale, ho capitalizzato al massimo queste dichiarazioni. I rapporti personali con Abete sono ottimi, sono stato in assemblea di Lega venerdì, hanno molto apprezzato. La prossima settimana ci sarò al Consiglio Federale».

Ancora a proposito della Roma. Ci fu davvero il suo incontro segreto con Pallotta?
«Si è vero, prendemmo un aperitivo in centro. L’incontro avvenne perchè l’organizzò un comune amico. Fu una chiacchierata di un’oretta, mi chiese notizie sulla Roma, c’era la candidatura olimpica, mi disse che aveva intenzione di investire, raccontò il suo passato sportivo. Ora sono un po’ frastornato nel leggere altre notizie…»

Da tifoso della Roma, cosa le suscita questa situazione?
«Apprensione, speranza, preoccupazione. Speriamo vinca la speranza»

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